| Federico Sborchia | La Turchia è un paese magico, diviso su due continenti e toccato da altrettanti mari. In Turchia potete godervi il fascino immortale di Istanbul, potete sperimentare alcune meraviglie naturali come le terme di Pamukkale e i camini delle fate . Potete anche regalarvi una vacanza di mare ad Antalya o a Bodrum ma soprattutto potete osservare fino a che punto può giungere la decadenza di un uomo e soprattutto di un calciatore. La Turchia è un gigantesco calderone di culture, un crocevia storico come pochi altri e la Süper Lig ne è una degna espressione: un grandissimo mix di giocatori di ogni dove che qua confluiscono quando sentono vicina la fine. In questo viaggio vi accompagneremo di città in città e di squadra in squadra. Adana | Adana Demirspor Adana è ciò che resta della vecchia Antiochia di Cilicia, girando per Adana potete trovare il bellissimo castello armeno di Yılankale ma anche una notevole distesa di grattacieli. Tra le altre cose ad Adana ha sede
| Valerio Frezza |
E’ appena terminata la fase a gironi delle qualificazioni alla prossima coppa del mondo. L’Italia, giunta seconda con qualche apprensione, dovrà ora affrontare uno spareggio, un’appendice novembrina, per determinare l’accesso alla competizione per le ultime quattro nazionali del raggruppamento europeo. Gli azzurri sono testa di serie e a breve si effettuerà il sorteggio per stabilire l’accoppiamento del playoff. Fin qui è mera cronaca. Le quattro squadre tra cui l’Italia potrebbe pescare il suo avversario sono la Svezia, la Grecia, l’Irlanda e l’Irlanda del Nord. Qui la cronaca comincia a miscelarsi con la storia. Bene o male abbiamo incrociato tutte queste nazionali nella secolare storia degli azzurri ma una, una in particolare, è la protagonista del nostro racconto. Ed è l’Irlanda del Nord.
Bisogna fare un viaggio a ritroso di sessant’anni esatti, 1957, e allora come adesso si disputavano le qualificazioni ai mondiali di Svezia dell’anno successivo. Ai tornei di qualificazione si iscrissero 56 nazioni di tutto il mondo (ora solo le europee sono 55) e l’Italia capitò in un girone con Portogallo e, per l’appunto, Irlanda del Nord. Erano anni difficili per la nostra nazionale, il mondiale del ’54 era stato un fiasco e la federazione aveva pensato di introdurre nuovamente l’impiego degli oriundi per aumentare il tasso tecnico della nostra squadra. Si pescava così in un fertile Sud America ricco di talenti e discendenze italiche.
La prima partita dei nostri si tenne a Roma il 25 aprile ’57, 1-0 sugli irlandesi con un bolide su punizione di Sergio Cervato, difensore e capitano della Fiorentina campione d’Italia nonché finalista della Coppa dei Campioni. Buone sensazioni ma poco durevoli: nella seconda gara del girone eccoci travolti dal Portogallo per 3-0. Va detto che una buona parte della componente viola della squadra rimase a riposo per l’imminente finale continentale che la Fiorentina perse poi a Madrid. In ogni caso la situazione si complicava e la classifica del gironcino così recitava: Portogallo e Irlanda del Nord 3 punti, Italia 2.
Appariva così già decisivo, in un’epoca in cui la vittoria valeva ancora 2 punti, il match di Belfast contro una preparata Irlanda del Nord, incontro previsto per il 4 dicembre. Ma quel giorno l’incontro non si disputò: l’aereo dell’arbitro, l’ungherese Zsolt, era rimasto fermo a Londra per la nebbia e non riuscì a raggiungere la capitale dell’Ulster. Gli irlandesi proposero di utilizzare allora una terna di arbitri del posto ma ovviamente i nostri, malfidati, bocciarono la proposta ed il match fu rinviato definitivamente.
Però i biglietti erano stati venduti, le squadre erano già a Belfast, il viaggio era già stato fatto e così la partita, in veste di amichevole, venne giocata lo stesso: 2-2 con reti di Ghiggia (oriundo, oltre 200 partite con la Roma ma soprattutto il gol al Brasile che valse la Coppa Rimet all’Uruguay nel Maracanazo del 1950, un’altra storia meravigliosa), Cush, Montuori e ancora Cush.
A Milano il 22 dicembre penultima partita della serie e secco 3-0 al Portogallo. Qualificazione in tasca: Italia 4 punti, Irlanda del Nord e Portogallo 3.
Ma c’era da recuperare la gara di Belfast.
Un pareggio. Alla fine era quello che bastava e Foni, tecnico azzurro, aveva pure la fama di difensivista. Primo non prenderle quindi, ma come è possibile con gente in squadra dai piedi gentili come Ghiggia, Schiaffino, Segato e Montuori, una mezzapunta schierata a centrocampo? Gli irlandesi invece erano robusti e coriacei e sapevano di dover vincere.
Non ci fu quasi partita, i nostri “frombolieri dalle polveri bagnate” come li definì il cronista del cinegiornale utilizzando ancora termini intrisi di una certo stile retorico, rimbalzavano contro il centrocampo nord irlandese risultando evanescenti, inconcludenti. Finì 2-1 e l’Irlanda del Nord raggiunse per la prima volta una fase finale di un mondiale. Ci tornerà nel 1982 e nel 1986. L’Italia, campione del mondo nel ’34 e nel ’38, rimase a casa per la prima volta se si esclude l’assenza volontaria nell’edizione in Uruguay del 1930. Iniziarono processi, accuse di "mancato patriottismo" e l’inevitabile allontanamento del CT Foni, ex campione olimpico a Berlino nel ’36 e campione del mondo nel ’38 in Francia. Riprese ad allenare squadre di club vincendo nel 1961 la Coppa delle Fiere con la Roma ma chissà quante volte avrà pensato a quell'evento.
L’Irlanda del Nord disputò un ottimo mondiale. Inserita in un girone di ferro con Germania Ovest, Argentina e Cecoslovacchia riuscì a passare al secondo turno dove, in un tardo pomeriggio di giugno, si arrese alla Francia di Just Fontaine, il più prolifico marcatore in una singola edizione di un mondiale con 13 marcature. La coppa invece andò ad una squadra alla sua prima affermazione, il Brasile, trascinato da un folletto di 17 anni: Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelè.