| Federico Sborchia | La Turchia è un paese magico, diviso su due continenti e toccato da altrettanti mari. In Turchia potete godervi il fascino immortale di Istanbul, potete sperimentare alcune meraviglie naturali come le terme di Pamukkale e i camini delle fate . Potete anche regalarvi una vacanza di mare ad Antalya o a Bodrum ma soprattutto potete osservare fino a che punto può giungere la decadenza di un uomo e soprattutto di un calciatore. La Turchia è un gigantesco calderone di culture, un crocevia storico come pochi altri e la Süper Lig ne è una degna espressione: un grandissimo mix di giocatori di ogni dove che qua confluiscono quando sentono vicina la fine. In questo viaggio vi accompagneremo di città in città e di squadra in squadra. Adana | Adana Demirspor Adana è ciò che resta della vecchia Antiochia di Cilicia, girando per Adana potete trovare il bellissimo castello armeno di Yılankale ma anche una notevole distesa di grattacieli. Tra le altre cose ad Adana...
di Paolo Brescia
Nemmeno il tempo di trovare il farmaco giusto, caspita. Nemmeno il tempo. Ci saluta Frank De Boer.
Nemmeno il tempo di trovare il farmaco giusto, caspita. Nemmeno il tempo. Ci saluta Frank De Boer.
Una brevissima avventura, durata appena 80 giorni, con la storia di Mou che torna attuale. Sì, la questioncina dell''ombra che aleggia ad Appiano, da quando lo Special One ha lasciato le stanze meneghine. Non è una roba da poco,è però autoconvinzione di mediocrità che può aiutare solo i detrattori. Una società vincente non può sostare pensosa agli anni d'oro, sperando che tornino senza provare a ripetere le stesse, giuste, scelte. Si dirà, da allora è cambiato tutto. Si replicherà, come d'altronde in altre pagine, qui, e altrove: il problema non è di "ciclo", che quando finisce, può solo ripartire, anche se cambiano gli interpreti. Il punto è che questi nuovi interpreti devono essere mossi dallo stesso pensiero, dalla stessa forza mentale: lavorare per chi tifa, lavorare con chi tifa, con chi gioca e con chi allena. Non può durare una gestione verticale, spensierata, affannosa e coperta da interessi massicci, che spaziano dal merchandising individuale alle sponsorizzazioni colossali. Non c'è top club, non c'è identità che regga alla furia della monetizzazione della passione. Piano, perché dire che ricercare il profitto in un mondo come il calcio sia sbagliato, non solo è dire male, ma è dire una banalità. Demagogica, calda, ma banalità.
Serve, l'interesse economico, che muove, dissipa, fa fare strada. Ma serve costanza nelle scelte, attenzione alla qualità del prodotto, non alla mera quantità dello sforzo attuato.
Ci vedete o no, in questo, l'Inter di oggi? Frank de Boer capiva di calcio, era interessante. Ma la quantità, l'autoritarismo-impotente, vuole un cambio di passo. E il cambio di passo è arrivato, almeno a parole. Si dirà che ora i giocatori non hanno più alibi, ed è verità. Temporanea verità, almeno fino al prossimo esonero.
Sveglia, Internazionale.