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Viaggio in Turchia

|  Federico Sborchia  | La Turchia è un paese magico, diviso su due continenti e toccato da altrettanti mari. In Turchia potete godervi il fascino immortale di Istanbul, potete sperimentare alcune meraviglie naturali come le terme di Pamukkale e i camini delle fate . Potete anche regalarvi una vacanza di mare ad Antalya o a Bodrum ma soprattutto potete osservare fino a che punto può giungere la decadenza di un uomo e soprattutto di un calciatore. La Turchia è un gigantesco calderone di culture, un crocevia storico come pochi altri e la Süper Lig ne è una degna espressione: un grandissimo mix di giocatori di ogni dove che qua confluiscono quando sentono vicina la fine. In questo viaggio vi accompagneremo di città in città e di squadra in squadra. Adana | Adana Demirspor Adana è ciò che resta della vecchia Antiochia di Cilicia, girando per Adana potete trovare il bellissimo castello armeno di Yılankale ma anche una notevole distesa di grattacieli. Tra le altre cose ad Adana ha sede

È sempre derby


| rio_vela |

<<Il derby è una partita come tutte le altre>>, disse un allenatore rampante con idee rivoluzionarie nel momento di massima gloria. Aveva illuminato gli occhi degli appassionati di pallone con una piccola squadra di provincia salita poi alla ribalta nazionale dopo oltre un decennio di oblio. Ovviamente quell’allenatore, Zdenek Zeman, il derby successivo lo perse perché le stracittadine non sono partite come tutte le altre. E a Roma, questo, è vero un po’ di più.


Moltissimi termini in uso nel mondo del calcio hanno origine anglofona come goal, offside o corner  ma hanno trovato quasi subito un omologo, una traduzione in italiano e così abbiamo anche gli equivalenti rete, fuorigioco o calcio d’angolo. Derby no, derby è rimasto sempre lo stesso, forse può aver trovato un sinonimo nel termine “stracittadina” ma l’emozione che sprigiona il termine britannico “derby” è unica. L’origine del termine però non è univoca ma in ogni caso affonda le radici in una storia vecchia di oltre due secoli: potrebbe essere legata ai giochi di Shrove Tuesday (ovvero Martedì grasso) tra diverse parrocchie nella città di Derby, giochi che con l’andare degli anni generarono un’accesa rivalità tra le opposte fazioni  legate a due parrocchie cittadine Potrebbe anche avere un’origine ippica per via dell’istituzione di una corsa di un miglio per puledri di tre anni. Corsa instituita da parte del Conte di Derby, per l’appunto, alla fine del 1700.
A Roma il derby non ha nulla a che fare con le corse ippiche tantomeno con le attività ludiche di due o più parrocchie antagoniste ma da qualcosa di quasi religioso e mistico comunque è animato. Il calcio arrivò a Roma in ritardo rispetto alle città del nord ma divenne rapidamente popolare. In realtà la prima partita disputata a Roma fu tra la Società Udinese di Ginnastica e Scherma e la Società rodigina di ginnastica (ma il sito dell’Udinese calcio dice Virtus Bologna) e si giocò al  Velodromo “Roma” di via Isonzo davanti a Re, Regina e 20.000 spettatori. Era il settembre 1895.

L’attività romana non partì invece prima del nuovo secolo: la Lazio, nata come società podistica nel 1900, cominciò a praticare il gioco del calcio dall’anno successivo ma aprì una sezione dedicata solo successivamente, il Football Club di Roma (meglio noto come Roman) nacque nel 1901, a seguire Virtus (dopo una scissione dalla Lazio), Alba, Fortitudo, e poi Juventus, Pro Roma, Audace, U.C. Romana. Quindi una miriade di società, piccole, molto localizzate, legate a rioni, quartieri, strade, parrocchie, strati diversi della popolazione: il derby di Roma per come lo conosciamo oggi praticamente nasce qui. Eh sì perché dopo la Carta di Viareggio del 1926 ed il chiaro indirizzo politico del regime che vedeva nel calcio un ottimo strumento di controllo delle masse, dopo una serie di fusioni, rimasero Lazio e la neonata Roma a spartirsi il palcoscenico capitolino.


La Lazio aveva già trovato la sua collocazione nella parte settentrionale della città tra il rione Prati ed il quartiere Flaminio nelle zone ossia dove era in ascesa la nuova borghesia della città da poco diventata Capitale d’Italia. La Roma invece elesse a domicilio la zona sud dell’urbe dapprima con l’utilizzo del Motovelodromo Appio poi con la costruzione a proprie spese dell’impianto di Campo Testaccio, edificato nel quartiere omonimo di chiarissima estrazione popolare. Perché il calcio non è soltanto un pallone che rotola, è appartenenza, è campanile, censo, è di qua o di là e tu ci nasci, ci cresci, scegli e sei scelto. Sei scelto perché è l’emozione che ti dà un colore a scegliere per te, nord o sud, Testaccio o Prati ed in mezzo un confine naturale, un fiume lungo quattrocento chilometri che nel dividere in due la città trova il suo tratto più glorioso. E non è un caso se da sempre nel descrivere un giocatore passare da Lazio a Roma o viceversa si è detto “ha attraversato il Tevere” proprio per rendere l’idea con quattro parole di cosa significhi appartenere ad una o all’altra sponda. E non è un caso se dopo novant’anni di derby i giocatori che hanno vestito sia la casacca giallorossa che quella biancazzurra sono pochissimi. E per non parlare di quanti, poi, abbiano segnato in una stracittadina con entrambe le maglie: uno, uno solo, ed è Arne Selmosson.


Arne, classe 1931, fece parte di quella nidiata di svedesi che, come Liedholm o Hamrin, a partire dagli anni ’50 scese in Italia ingrossando le fila delle squadre nostrane. Giunse nel 1954 grazie a un’intuizione dell’Udinese che con i suoi 14 gol chiuse il campionato 54-55 al secondo posto dietro al Milan. L’anno successivo passò alla Lazio in cui collezionò 101 presenze e 31 reti in tre stagioni dopo di che fu acquistato dalla Roma per 135 milioni di lire: con la maglia giallorossa Selmosson segnò 31 reti ed alzò la Coppa delle Fiere nel 1961 contro il Birmingham.

Negli anni ’70 un altro passaggio diretto. Franco Cordova dopo nove stagioni in giallorosso e 265 presenze (alcune da capitano) decide di accasarsi alla Lazio scatenando le critiche della tifoseria giallorossa. Ma l’episodio che più fece discutere capitò nella seconda metà degli anni ’80: Lionello Manfredonia, difensore della Lazio per un decennio, dopo due stagioni nella Juventus, decide di tornare nella Capitale ma questa volta sceglie l’altra sponda del Tevere ed approda alla Roma. La tifoseria giallorossa si spaccò tra favorevoli e contrari all’ingaggio del ragazzo cresciuto nelle giovanili della Lazio ma Manfredonia dimostrò sempre professionalità ed abilità fino a che un arresto cardiaco non lo colse durante un Bologna-Roma di campionato obbligandolo al ritiro dall’attività a 33 anni. Il Bologna era stata la squadra contro cui aveva esordito in serie A nel 1975.

Quindi che cos’è il derby? Non sappiamo rispondere. Sul derby si possono spendere milioni di parole oppure nessuna perché bene bene non c’è mica qualcosa che lo sappia descrivere. Forse perché ognuno lo vive a modo suo. Forse perché ognuno lega ad un derby un particolare episodio o periodo della propria vita. Ma una cosa è certa: il derby non dura novanta minuti, il derby è sempre. E a Roma, questo, è vero un po’ di più.

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