| Federico Sborchia | La Turchia è un paese magico, diviso su due continenti e toccato da altrettanti mari. In Turchia potete godervi il fascino immortale di Istanbul, potete sperimentare alcune meraviglie naturali come le terme di Pamukkale e i camini delle fate . Potete anche regalarvi una vacanza di mare ad Antalya o a Bodrum ma soprattutto potete osservare fino a che punto può giungere la decadenza di un uomo e soprattutto di un calciatore. La Turchia è un gigantesco calderone di culture, un crocevia storico come pochi altri e la Süper Lig ne è una degna espressione: un grandissimo mix di giocatori di ogni dove che qua confluiscono quando sentono vicina la fine. In questo viaggio vi accompagneremo di città in città e di squadra in squadra. Adana | Adana Demirspor Adana è ciò che resta della vecchia Antiochia di Cilicia, girando per Adana potete trovare il bellissimo castello armeno di Yılankale ma anche una notevole distesa di grattacieli. Tra le altre cose ad Adana...
| Tobia Cimini |
Può succedere che un sogno diventi un incubo, che nel momento che aspetti da sempre tutto vada irrimediabilmente storto.
La finale di Champions League l’ha vista il mondo intero, verosimilmente il mondo intero ha strabuzzato gli occhi al minuto 51’, quando Loris Karius arriva per primo su un lancio di Kroos ma rilancia il pallone sul piede di Benzema, regalando il vantaggio al Real Madrid. Il mondo intero ha allargato le braccia, forse ha anche accennato una risata, di certo il mondo madridista ha urlato di gioia. Le telecamere cercano subito lui, Karius, l’uomo del disastro. E lui cerca subito di riversare la propria rabbia contro l’arbitro, come se ci fosse una qualche scorrettezza, ma probabilmente sa bene che tutto è regolare e quella rabbia è in realtà rivolta a se stesso.
Basterebbe già questo per rendere quella serata un incubo, per trasformare nel punto più basso di una carriera una partita che poteva diventare il punto più alto. Ma il Calcio si gioca anche sulla resistenza psicologica ai colpi e se il gol di Mané al 55’ potrebbe ridare un po’ di morale a chi si sente responsabile dello svantaggio della propria squadra, il gol di Bale in rovesciata diventa una mazzata fatale. L’equilibrio di Karius vacilla, sale l’insicurezza. A quel punto basta una botta da lontanissimo, forte ma centrale, e le mani non reggono il colpo.
L’incubo è servito. Karius si butta in terra, le mani sul volto, il cuore che fa male. Non sembra avere la forza nemmeno per rimettersi in piedi o guardare in faccia i suoi compagni. La finale è oramai tutta per il Real, che l’ha vinta per quei due errori.
Il ruolo del portiere è un’arma a doppio taglio, se sei l’ultimo difensore significa che o salvi tu la squadra o non la salva nessuno, che sei costantemente in bilico fra l’essere un eroe e l’essere il peggiore. Questo lo sanno tutti e a 24 anni Karius lo sa già molto bene, ci è già passato parecchie volte ma ci ha anche guadagnato il posto da titolare nel Liverpool, dato che proprio l’insicurezza di Mignolet lo ha portato ad essere la prima scelta. Ma quando tutta una squadra ha lavorato per arrivare in finale pronta a vincere, quando tutto un popolo ti incita a portare a casa la coppa più bella del mondo, anche se lo sanno tutti cosa voglia dire essere portiere e quanto sia umano sbagliare, ti ritrovi solo e colpevole. Al fischio finale nessuno dei compagni va da Karius, che crolla a terra nascondendo il viso e le lacrime come può. Ci provano gli avversari a tirarlo su, ma non vale molto. Alla fine da qualche parte trova la forza di andare a sotto la propria curva, con le lacrime agli occhi, e chiedere scusa.
Qui trova sciarpe alzate, un rosso d’orgoglio e non di vergogna. Trova cori di forza e non fischi. La tifoseria del Liverpool non è una tifoseria normale. E c’è un motivo se il coro per cui sono famosi nel mondo si chiama You’ll never walk alone. Lo applaudono, gli cantano in faccia l’inno e gli dimostrano in ogni modo in cui possono che davvero a Liverpool non si cammina mai da soli. Nel mondo iniziano i messaggi di solidarietà, lo stesso Jürgen Klopp è dalla parte del ragazzo, a cui è toccato un fardello troppo grande. È il regalo più bello, perché nella notte di Kiev, che sicuramente il giovane portiere avrà passato in bianco a pensare, ci sarà non solo l’immagine della palla che entra inesorabilmente in rete per due volte, ma anche una voce, una che è mille, e che gli dice:
Continua a camminare attraverso il ventoContinua a camminare attraverso la pioggiaAnche se i tuoi sogni verranno scossi e spazzati viaContinua a camminare con la speranza nel cuoreE non camminerai mai solo.
Sbagliare è umano, nel Calcio certi errori valgono di più e pesano per sempre o almeno fino a quando non riesci a scrollarteli di dosso. L’importante è non camminare mai da soli e se c’è un luogo in cui lo sanno quello è Anfield. Allora ciò che è giusto dire è: in bocca al lupo Loris Karius, guarda negli occhi chi cammina con te ora e credici per poter tornare a correre per loro. Magari già il prossimo anno.