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Viaggio in Turchia

|  Federico Sborchia  | La Turchia è un paese magico, diviso su due continenti e toccato da altrettanti mari. In Turchia potete godervi il fascino immortale di Istanbul, potete sperimentare alcune meraviglie naturali come le terme di Pamukkale e i camini delle fate . Potete anche regalarvi una vacanza di mare ad Antalya o a Bodrum ma soprattutto potete osservare fino a che punto può giungere la decadenza di un uomo e soprattutto di un calciatore. La Turchia è un gigantesco calderone di culture, un crocevia storico come pochi altri e la Süper Lig ne è una degna espressione: un grandissimo mix di giocatori di ogni dove che qua confluiscono quando sentono vicina la fine. In questo viaggio vi accompagneremo di città in città e di squadra in squadra. Adana | Adana Demirspor Adana è ciò che resta della vecchia Antiochia di Cilicia, girando per Adana potete trovare il bellissimo castello armeno di Yılankale ma anche una notevole distesa di grattacieli. Tra le altre cose ad Adana ha sede

Il tifo è un’altra cosa

| Giuliano Guzzo |

Il tifo è un’altra cosa

La gravità di quanto accaduto sabato allo stadio Olimpico, prima della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, ha dimostrato – nel caso ce ne fosse bisogno – la differenza abissale fra chi ama lo sport e chi se ne approfitta, tra tifosi e delinquenti. Sui media, per semplificare, s’impiega ancora l’espressione «tifosi violenti», ma è chiaro che nel momento in cui qualcuno ricorre alla violenza non si può più parlare di tifo. Ed è altrettanto chiaro come scontri come quelli susseguitisi sabato pomeriggio – con una decina di feriti fra cui tre da arma da fuoco ed uno gravissimo – sono purtroppo tali da escludere l’ipotesi, tutto sommato rassicurante, della mela marcia.
No, qui non si tratta della classica mela marcia; e neppure di due o di tre. Qui si tratta di prendere coscienza di un fatto, peraltro noto e già emerso in altre occasioni, vale a dire la sistematica occupazione degli spalti riservati alle tifoserie da parte di soggetti intenzionati a sfogare – prima, durante e dopo una partita di calcio – tutta la rabbia di cui sono capaci; anche a costo di alzare le mani o di premere il grilletto. Vogliamo negare che si tratti di delinquenti? Facciamolo. Ma saranno poi i fatti, con la loro implacabile evidenza, a dirci come stanno le cose: esattamente come accaduto sabato. Tanto vale allora prendere atto della situazione e provare a risolverla.
Come? Anzitutto organizzandosi prima – quando si verificano scontri di certe dimensioni, con decine di soggetti coinvolti, ci vuole una gran faccia tosta a negare la possibilità in qualche modo di prevenirli – e quindi provvedendo a controllo più serrati. In seconda battuta, applicando sanzioni severissime sia alle tifoserie nel loro insieme (per esempio, vietandone l’ingresso per diverse partite successive ad eventuali disordini), sia verso gli stessi club calcistici i cui sostenitori si rendono responsabili di atti criminali; si obbietterà subito che è sbagliato estendere a tanti soggetti responsabilità che, in realtà, graverebbero solo su alcuni.
L’obiezione è sensata, ma mali estremi chiedono estremi rimedi. E l’Italia ed il nostro calcio non possono più permettersi spettacoli come quelli delle ore scorse. Ne va, anzitutto, della credibilità istituzionale – l’idea di un Paese ostaggio di un pochi delinquenti capaci di condizionare l’inizio e lo svolgimento di eventi sportivi, è surreale – e, in secondo luogo, del messaggio che vogliamo lanciare; se vogliamo lasciar correre e confidare nella buona sorte, ci assumiamo infatti dei rischi. Primo fra tutti quello di dover chiarire domani quello che avremmo già il dovere di chiarire oggi, e cioè chi sbaglia paga. Per il bene dello sport, per la sicurezza dei cittadini e perché il tifo è un’altra cosa.

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