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Viaggio in Turchia

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Sarrismo: anacronismo anarchico efficace?

Negli ultimi mesi, non c’è allenatore più discusso di Maurizio Sarri. Sospeso a metà fra gli elogi e le critiche, l’allenatore del Napoli sembra essere diventato ormai il protagonista di ogni dibattito calcistico. 


Sono tre anni che il tecnico toscano siede sulla panchina azzurra e sin dai primissimi momenti il suo stile – che qualcuno vuole chiamare Sarrismo, seguendo la moderna moda di affibbiare il nome di ogni allenatore allo stile di gioco della propria squadra – ha attirato l’attenzione degli appassionati. Questo perché Sarri ha prima di tutto un altro approccio al calcio rispetto ai suoi colleghi, un approccio non per questo nuovo, ma senza dubbio raro ai massimi livelli italiani ed europei.




La sua concezione del calcio ha un che di materialistico e questa sua filosofia, calcistica e tecnica, si riflette in ogni particolare sia suo che della sua squadra. Il Napoli non è bello da vedere, non è una squadra che riesce a tenerti incollato alla poltrona per ammaliarti con le sue giocate mirabolanti. È una squadra che schiaccia sul piano tecnico, sovrasta gli avversari e li controlla. Nel dover scegliere fra sostanza e forma, Sarri non ha dubbi: la prima è quella che conta. In campo lo si vede palesemente in ogni minimo particolare, l’approccio è portare a casa il risultato senza badare al come ci si riesca. Ricordo la semifinale di Coppa Italia della scorsa stagione, al San Paolo contro la Juventus. Al Napoli serviva segnare e così, quando gli avversari hanno messo il pallone fuori per far soccorrere un loro compagno, dalla panchina è arrivato un ordine immediatamente eseguito: “Non gliela ridare!”. Il motivo è ovvio: il Fair Play è solo una formalità e non ti fa vincere le partite, una rimessa laterale magari sì.


Ora, nell’aspetto puramente di campo, questo atteggiamento sembra una banalità o perlomeno una cosa abbastanza diffusa. Il calcio non bello ma efficace è piuttosto diffuso. L’anomalia di Sarri sta, però, nella valenza organica di questo principio. Nella gestione di una squadra la sfera formale è quella che riguarda l’aspetto economico-societario. Il tecnico del Napoli ha un assoluto disinteresse per tutto ciò che possa portare guadagno in termini finanziari ad Aurelio De Laurentiis e lo dimostra costantemente. Volendo esemplificare: l’operazione Higuaín è stata una strepitosa plusvalenza, ma Sarri dopo Napoli-Juve è stato lapidario: 

Loro hanno novanta milioni in meno, ma tre punti in più 

E così anche per l’investimento sui giovani, che per il Napoli si è concretizzato con l’acquisizione di Ounas:

L’anno scorso non ha fatto neanche tanto bene

o la scelta di marketing di giocare con la quarta maglia:

Speravo di morire prima di vedere un Napoli-Juve grigi contro gialli

Infine, anche per la Champions League, l’allenatore toscano guarda all’aspetto sostanziale:

Saremmo usciti comunque

Come a dire, poco importa se andando avanti gli incassi da sponsor e Uefa arricchiscano il club. D’altronde anche nel mercato Sarri non chiede investimenti nuovi ma continuità, gli incassi gli servono poco. La Champions diventa una zavorra inutile, di pura forma, che non permette al Napoli di allenarsi sette giorni di seguito tra una partita e l’altra. Anche nel suo rapporto con la stampa è schietto e senza peli sulla lingua, non cerca con giri di parole di infiocchettare i suoi discorsi, ma alla forma delle parole preferisce la sostanza dei concetti, volgarità comprese.


Il Sarrismo – se ha un senso chiamarlo così – è una parentesi anacronistica. Si richiama al calcio d’altri tempi, quello della formazione fissa ogni domenica e lontano da ogni forma di marketing. Può ancora essere efficace? Finora non lo è stato, ma la sensazione è che sia questa la stagione decisiva per scoprirlo.

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