| Federico Sborchia | La Turchia è un paese magico, diviso su due continenti e toccato da altrettanti mari. In Turchia potete godervi il fascino immortale di Istanbul, potete sperimentare alcune meraviglie naturali come le terme di Pamukkale e i camini delle fate . Potete anche regalarvi una vacanza di mare ad Antalya o a Bodrum ma soprattutto potete osservare fino a che punto può giungere la decadenza di un uomo e soprattutto di un calciatore. La Turchia è un gigantesco calderone di culture, un crocevia storico come pochi altri e la Süper Lig ne è una degna espressione: un grandissimo mix di giocatori di ogni dove che qua confluiscono quando sentono vicina la fine. In questo viaggio vi accompagneremo di città in città e di squadra in squadra. Adana | Adana Demirspor Adana è ciò che resta della vecchia Antiochia di Cilicia, girando per Adana potete trovare il bellissimo castello armeno di Yılankale ma anche una notevole distesa di grattacieli. Tra le altre cose ad Adana ha sede
“There is no league in Ireland”. Così affermò Giovanni Trapattoni il 9 settembre 2013, due giorni prima di rescindere il contratto che lo legava alla nazionale irlandese in qualità di ct. La situazione sta cambiando?
Erano tempi difficili, quelli, tanto per il Trap quanto per i suoi uomini, reduci da due sconfitte contro le dirette rivali Svezia e Austria nel girone di qualificazione al campionato del mondo 2014. Proprio per scagionarsi dalle accuse subite dai tifosi e dai giornalisti locali in seguito alle scarse prestazioni della squadra, l’allenatore italiano pronunciò quelle famose parole alla stampa irlandese:
“Ripeto che siamo orgogliosi perché prima della partita (contro la Svezia) eravamo nella stessa posizione di Svezia e Austria […]. In Irlanda non c’è nessun campionato. I nostri calciatori giocano in Inghilterra. In Svezia c’è un campionato. In Austria c’è un campionato.”
La tattica apologetica di Trapattoni riscosse successo presso la stampa estera, e persino la stessa FAI (Football Association of Ireland) non prese le difese della sua lega, la LoI (League of Ireland, oggi chiamata anche SSE Airtricity League per ragioni di sponsor). D’altronde, la sentenza sullo stato del calcio irlandese era tanto disfattista quanto ovvia: al contrario della stragrande maggioranza dei campionati europei, infatti, la LoI era una lega semiprofessionistica composta quasi esclusivamente da giocatori locali i cui club, non supportati adeguatamente sul piano economico dalla FAI e le cui altre fonti di introiti (sponsor, diritti tv, scarso montepremi) non garantivano loro alcuna stabilità economica, sembravano destinati al fallimento. Due esempi della precaria condizione economica in cui versavano le squadre irlandesi nei primi anni ’10 sono i casi che coinvolsero rispettivamente Cork City e Dundalk, entrambi club blasonati: il primo non riuscì ad ottenere la licenza di iscrizione al campionato nel 2010 e fu mantenuto in vita grazie a un azionariato popolare; il secondo rischiò di scomparire nel 2012 in seguito a una stagione disastrosa terminata al penultimo posto della massima serie irlandese, dalla quale non fu retrocessa solo in virtù del contemporaneo fallimento della rivale Monaghan United.
Nel 2013, il campionato irlandese si presentava dunque come una realtà pressoché inesistente, lacerata da fallimenti, defezioni, troppe spese e incassi pressoché nulli. C’è da chiedersi se oggi, a 5 anni da quella famosa dichiarazione, qualcosa sia cambiato.
Il cambiamento più grande nell’organizzazione del calcio di club irlandese è senza dubbio quello del nuovo format dei due campionati semiprofessionistici, Premier Division (PD) e First Division (FD), rispettivamente primo e secondo livello del calcio irlandese. Tale format, adottato per la prima volta nell’edizione appena trascorsa, contempla un ribilanciamento delle squadre partecipanti alle due leghe cambiando il numero dei club in PD (da 12 a 10) e in FD (da 8 a 10). Tuttavia, la riforma alla struttura del campionato irlandese promossa dalla FAI si è rivelata per certi versi disastrosa: se da un lato la PD ha beneficiato di 3 partite per club in più rispetto alle 33 partite annuali della precedente formula, la FD ha ridotto drasticamente il numero di match annuali (27 contro i 33 precedenti). Tale diminuzione comporta una maggiore difficoltà per i club di livello inferiore nell’ottenere fonti di introiti durante i tantissimi mesi di stop tra un’edizione e l’altra della competizione, in quanto gli incassi al botteghino costituiscono gli unici guadagni sicuri per le squadre meno competitive. Al problema concernente il numero di gare disputate va aggiunto quello nato da una pessima gestione del calendario che ha portato alcuni club a non disputare alcuna partita tra le mura amiche per mesi e altri a giocare ogni tre giorni. A questi problemi di natura organizzativa, critici ma risolvibili, si sono sommati i fallimenti di Limerick e Bray Wanderers, storici club militanti in PD. E se il secondo è riuscito a trovare un acquirente che ha donato una nuova stabilità economica alla squadra dopo un periodo di tre settimane di bancarotta, il futuro del Limerick è ancora a rischio. Oltre a ciò non sono scomparsi i “vecchi” problemi economici che attanagliano il campionato irlandese nel suo complesso: i diritti televisivi, infatti, non comportano alcun introito per i club perché di proprietà della FAI; i pochi sponsor locali costituiscono una fonte di guadagno pressoché nulla se comparati alle spese delle squadre; infine, il montepremi messo a disposizione dalla FAI per i club di prima e seconda divisione irlandese è irrisorio se comparato a quello degli altri campionati europei (per farsi un’idea, al vincitore della PD spettano circa 100.000 euro contro i 10,38 mln distribuiti a 1°, 2° e 3° classificata della Serie A).
Oltre a questi gravi problemi, però, occorre dire che il nuovo format ha introdotto un sistema di playoff/playout che garantisce altre sei partite al termine della stagione regolare e che sta riscuotendo un grande successo in termini di partecipazione. In questo modo, i fortunati club di FD che terminano il campionato tra le seconda e la quarta posizione riescono non solo ad ovviare allo scarso numero di partite disputate durante l’arco della stagione regolare, ma anche ad attrarre su di loro per un breve lasso di tempo un’attenzione mediatica che altrimenti stenta ad arrivare. A proposito di attrazione mediatica, l’impresa che ha portato al maggior cambiamento in termini positivi che il calcio irlandese ha avuto dal 2013 ad oggi è senza dubbio la scalata europea del Dundalk nel 2016. Il club allenato da Stephen Kenny, infatti, non solo ha eguagliato le gesta dello Shamrock Rovers, che nel 2010 si era qualificato ai gironi di Europa League, ma ha anche ottenuto la prima, storica vittoria di una squadra irlandese nei gironi di una competizione europea battendo per 1-0 il Maccabi Tel-Aviv. La risonanza della cavalcata del Dundalk in Europa non è passata inosservata tra gli addetti ai lavori, attirando l’attenzione di un gruppo di investitori americani già attivi nel panorama calcistico europeo che ha deciso di investire nella squadra irlandese prendendone le redini questo inverno con l’obiettivo di costruire la prima squadra interamente professionista d’Irlanda. Il neopresidente della squadra bianconera, Mike Treacy, ha affermato a più riprese le potenzialità della squadra e del campionato irlandese, che garantisce a ben quattro dei suoi membri un accesso alle competizioni europee. Queste, incrementando il proprio valore di anno in anno, vanno profilandosi sempre più come una fonte di introiti imprescindibile per la buona salute economica delle squadre.
Per tirare le somme, affermare “there is no league in Ireland” nel 2018 sarebbe sbagliato. Nonostante le palesi difficoltà nelle quali versa il campionato locale, infatti, gli introiti derivanti dall’accesso alle competizioni europee insieme a una migliore gestione del rinnovato format delle due leghe irlandesi, oltre che una maggiore attenzione al bilancio economico delle squadre “a rischio”, potrebbero portare la League of Ireland verso un futuro, se non roseo, quantomeno stabile. Per citare il già nominato Mike Treacy, “there’s a light at the end of the tunnel”, c’è una luce in fondo al tunnel. La luce del professionismo.
ph: Getty, Independent, Dundalk FC